L’8,3% dei ricoveri è effettuato in una diversa regione da quella di appartenenza del paziente. Le cure in ospedale seguono il flusso delle grandi concentrazioni territoriali. È una tendenza che si è affermata oramai da tempo. Soccombono invece gli ospedali con meno di centoventi posti letto. Oramai appare come una tendenza irreversibile che volge nella maggiore affidabilità assegnata, a ragione o torto, sui grandi ospedali.
IL problema è la loro concentrazione. Inutile dire che la maggior parte di casi è a Nord. Il Ministero della Salute ha promosso un’indagine su questa verità acclarata da tempo. Scatta subito la sindrome da classifica sportiva. Di qui la graduatoria tra i primi venti ospedali. Ma non si tratta di una classifica sulla qualità delle cure mediche. Solo sulle dimensioni.
La Lombardia ha cinque di questi ospedali. Deve rispondere anche a una richiesta di dieci milioni di abitanti! Tre sono proprio a Milano. Il Galeazzi, l’Humanitas di Rozzano e l’Irccs San Raffaele. IL Sud nel suo intero appare con due sole strutture. Casa sollievo della sofferenza di San Giovanni Rotondo (Puglia) e l’azienda ospedaliera Monaldi di Napoli.
Il cento ben figura in Toscana con l’azienda ospedaliera pisana, quella senese e il Careggi di Firenze.-Il Veneto: l’azienda ospedaliera universitaria di Verona, quella di Padova e l’ospedale Sacro cuore Don Calabria di Negrar.
A difendere l’immagine di Roma c’è solo il Gemelli, il Campus Biomedico e il San Camillo Forlanini. C’è poi il Mauriziano di Torino e il San Martino di Genova.
Sempre il ministero della Salute dice che i ricoveri hanno ripreso dopo la pandemia. Allora erano state attestate 6,817 milioni di dimissioni ospedaliere. Nel 2022 stanno a 7,646 milioni. Nel 2023 toccano 8 milioni