Al convegno “Il Valore dell’innovazione Farmaceutica” promosso dall’Osservatorio Sanità e
Salute l’imperativo di investire in nuovi dispositivi medici
Nuovi farmaci implicano nuovi costi. E a spese sempre più esuberanti dai limiti di bilancio fanno seguito impegni economici più ingenti che comportano alti costi. Ciò rischia di rendere inaccessibili alcune cure per una fascia sociale con minori disponibilità, una volta messo sul mercato il nuovo dispositivo medico. L’intervento della mano pubblica garantisce l’accesso delle cure a tutti. La necessità avvertita, oggi, guarda quindi ai costi per le nuove terapie: debbono remunerare gli investimenti finalizzati all’innovazione.
Si pone quindi una fase di valutazione delle tecnologie sanitarie impiegate. È l’Health Technology Assestment lo strumento per individuare politiche sanitarie sicure.
Se n’è discusso al convegno promosso dall’Osservatorio Sanità e Salute il pomeriggio del 16 febbraio a Roma, al Tempio di Vibia Sabina e Adriano in Piazza di Pietra.
E tra gli interventi centrali, Massimo Di Maio, oncologo e docente dell’Università degli Studi di Torino, riporta una miriade di innovazioni prossime a diventare operative nella cura al cancro. “Cambia la ricerca chimica” – sottolinea l’oncologo – “c’è stata una riduzione nella mortalità per tumore al polmone”, con attenzione alla sconfitta della malattia alla fase
iniziale. Sull’argomento obbligato dell’immunoterapia interviene Alessio Cortellini, docente di Imperial College London e Università Campus Bio-Medico di Roma. Illustrando le terapie per combattere le cellule cancerose che si nascondono non facendosi riconoscere dal sistema immunitario, mostra il circuito virtuoso dei nuovi sistemi di cura. Illustra diversi livelli di grande innovazione inimmaginabili appena cinque-sei anni fa.
Stefano Vella, docente dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, interviene sull’argomento contro le malattie infettive. Se ci si chiede il senso della loro attualità, vista la grande affermazione dei vaccini, si deve guardare al loro essere “mono”, quindi direttamente finalizzati e funzionali. Abbiamo però visto col Covid come la trasformazione del virus renda inutile quell’anticorpo finalizzato contro il virus antecedente. I monoclonali
per l’HIV, invece, hanno dimostrato di essere preventivi.